sabato 21 novembre 2009

Il terzo segreto di Fatima e la nuova visione della realtà

Dal sito: http://www.the1phoenix.net/x-files/fatima.htm

Come osserva Bongiovanni:
".. Il terzo segreto di Fatima mette in chiara luce il profondo scisma che esiste all'interno della chiesa cattolica. Da una parte esiste un fortissimo potere economico legato agli scandali bancari, al riciclaggio del denaro sporco, e la corruzione che si è annidata all'interno della chiesa cattolica dagli inizi del Medio Evo fino ad oggi e dall'altra esiste la vera chiesa di Cristo fatta dai missionari e da coloro che dedicano anima e corpo al prossimo servendosi degli introiti economici a fin di bene. Rendere palese una tale divisione farebbe crollare il potere che la Chiesa temporale di oggi esercita indisturbata. La Madonna profetizza chiaramente la fine di questo tipo di chiesa e preannuncia la nascita di una chiesa spirituale in obbedienza profonda a ciò che il Cristo insegnò e per la quale donò la sua vita con la PASSIONE e la RESURREZIONE. .. Coloro che detengono il potere temporale ed economico dello Stato del Vaticano non vogliono che la gente sappia che il ritorno del Maestro Gesù è prossimo, anzi, che spiritualmente egli è già tornato, e che presto personificherà un essere umano per manifestarsi come promise egli stesso nelle sacre scritture."


Come ha affermato padre Balducci (demonologo della Santa Sede) in un'intervista, confermando parzialmente il testo del terzo segreto (quello circolante da trent'anni ma mai avvallato dalla Chiesa):
"Nel Terzo Segreto di Fatima si parla di due cose. Alla prima vi hanno fatto caso tutti, alla seconda pochissimi. La prima è una guerra nucleare prima della fine del millennio, e dal contesto si evince chiaramente. Infatti il testo parla dell'impiego di armi più potenti di mille soli. È chiaro di quali armi si tratta tenendo conto che il testo continua dicendo "i sopravvissuti invidieranno i morti". Si tratta di coloro che, sopravvivendo alle armi nucleari, soffriranno per le radiazioni. L'altro aspetto, meno noto, è LA CRISI DOTTRINALE DELLA CHIESA. .. "Sì, la Madonna nel Terzo Segreto di Fatima dice questo, ma nessuno ha notato che, prima di ogni cosa, Lei premette che tutto succederà se l'umanità non si ravvede". Quindi è tutto condizionato a questa premessa. Ma io sono ottimista. Noi, come uomini, possiamo influire nell'avverarsi di una profezia, spostandone la data e nell'intensità degli eventi profetizzati, mitigandoli."


Inoltre qualche veggente (o sedicente tale) afferma:
"Che fin dal concilio di Nicea iniziano gli errori dottrinali della chiesa."


Molti credono che il terzo segreto di Fatima profetizza LA FINE DEL CATTOLICESIMO DOGMATICO, e un ritorno al cristianesimo prima del concilio di Nicea; e come ben ha detto, padre Balducci, le profezie si possono cambiare con le preghiere e il libero arbitrio.

La nuova visione della realtà, basata sull’interconnessione tra gli inconsci, in una rete che ricorda internet, potrebbe essere la CHIAVE per dare delle basi filosofiche-scientifiche a un Cristianesimo non metafisico e non dogmatico, che non si presenterebbe in contrapposizione al cattolicesimo (cambiando, così, o mitigando la profezia di Fatima; e in ogni caso non facendo prevalere, nemmeno temporaneamente, le forze del male), ma si affiancherebbe ad esso per RECUPERARE quanti hanno perso e potrebbero perdere la fede nel cristianesimo per i contrasti tra una visione metafisica del mondo e le ultimissime scoperte della scienza, specialmente nel campo della biologia, genetica, psicosomatica e neuroscienze. Ricordiamo infatti che nel concilio di Nicea è stato considerato canonico anche il vangelo di san Giovanni, dal carattere profetico, ma troppo intriso di filosofia gnostica del tempo, che è poi servito da base a Sant'Agostino per introdurre la metafisica neoplatonica nel cristianesimo.

Le attuali posizioni riduzioniste delle neuroscienze.



QUESTO POST RIPORTA UN ARTICOLO DI ALTRI, AL SOLO SCOPO DI RIASSUMERE, BREVEMENTE, LE ATTUALI POSIZIONI SCIENTIFICHE DELLE NEUROSCIENZE, CHE NON TENGONO CONTO DELLA TRASMISSIONE TRA INCONSCI. Tutto questo ai fini propedeutici del POST successivo sul TERZO SEGRETO DI FATIMA.

DAL SITO: http://www.positanonews.it/index.php?page=dettaglio&id=23143

Pensieri in parole di Luigi Di Bianco
25/04/2009

IL CERVELLO UMANO ED IL SUO RAPPORTO CON L´ANIMA.

Nel mio pezzo della settimana scorsa ho negato che ci possa essere immortalità personale perché il cervello e l’anima sono così intimamente connessi che la morte del corpo e, quindi, del cervello, comporta, ineluttabilmente, anche la morte dell’anima. Per verificare l’intima connessione anima-cervello, in questo articolo vedremo insieme come è fatto il cervello e come esso svolge la funzione conoscitiva/intellettiva.

Lo studio del cervello rappresenta una vera e propria sfida data l'enorme complessità e mistero che avvolge quest'organo centrale per la nostra esistenza. Già Spinoza, nel seicento, aveva scritto: "[…] il cervello umano supera in ingegnosità tutte le costruzioni della perizia umana" .
La cosa veramente sorprendente è che semplici cellule possano condurre al pensiero, all'azione e alla coscienza. Anche se si sono fatti passi avanti notevolissimi nella conoscenza dei processi cerebrali, bisogna dire che la neurobiologia è tuttavia assai lontana da una teoria completa della coscienza. Una solida base di conoscenza è comunque stata acquisita su come funziona il cervello.
I neuroni, unità fondamentali del cervello, vengono prodotti durante la vita fetale. Durante questa fase, l’organismo produce circa 250 mila neuroni al minuto. Ma circa un mese prima della nascita, la produzione si blocca e per il cervello comincia una seconda fase che durerà per tutta la vita: la creazione di connessioni tra le cellule. In questo processo, le cellule che falliscono le connessioni vengono eliminate, tanto che al momento della nascita sono già dimezzate. La moria di neuroni diviene imponente a partire dai 30-40 anni quando, senza che l’organismo le sostituisca, le cellule cerebrali cominciano a morire al ritmo di 100 mila al giorno, circa 1 al secondo. Ma se hai più di 30/40 anni non è che devi preoccuparti più di tanto: per fortuna non c’è un corrispondente declino mentale: la capacità di creare nuove connessioni preserva, infatti, fino a un certo punto, le facoltà mentali acquisite.
Il neurone, questa minuscola cellula che costituisce il mattone del cervello, può essere paragonata ad un computer in miniatura perché raccoglie, elabora e trasferisce informazioni, o per meglio dire, impulsi nervosi.

Nella figura ho riportato lo schema di un neurone. Ciascun neurone consiste di un corpo cellulare, o soma, che contiene il nucleo cellulare o, per continuare la similitudine con il computer, l’unità di elaborazione centrale (CPU). Le informazione all’unità di elaborazione arrivano lungo un gran numero di fibre chiamate dendriti. Ogni dendrite costituisce una porta di ingresso. Quante porte di ingresso ci sono per ogni neurone? Non c’è un numero fisso. Ogni neurone può avere un numero variabile di dendriti che può variare da alcune centinaia ad alcune decine di migliaia. Nel disegno ho indicato solo tre porte di ingresso in corrispondenza di tre linee di input.
Se consideri che un neurone può avere alcune decine di migliaia di porte di ingresso ti puoi rendere conto della complessità di questo minuscolo computer. Adesso immagina che, di questi computer in miniatura, nel cervello ce ne sono circa 100 miliardi! Sì, hai letto bene ... cento miliardi.
Da dove provengono i segnali in input? Dalle cellule sensoriali, come quelle della retina dell’occhio, oppure, più frequentemente, da altri neuroni.
I segnali arrivano al micro-computer attraverso le porte di ingresso (dendriti) e vengono elaborati dall’unità centrale (corpo cellulare). Se, e solo se, l’unità centrale verifica determinate condizioni allora il corpo cellulare ‘spara’, o invia, un segnale lungo l’unica linea di output o porta di uscita. La linea di output è una singola fibra lunga chiamata assone. L'assone si allunga per un lungo tratto, in genere circa un centimetro (cento volte il diametro del corpo cellulare) e fino a un metro in casi estremi.
Dove va a finire il segnale in output lungo l’assone? Può andare ad attivare cellule muscolari oppure, più frequentemente, è applicato in input ad altri neuroni. Verso l’estremità anche l'assone si suddivide in numerose ramificazioni. Succede quindi che il singolo segnale in output non ha un solo destinatario ma può interessare alcune decine o centinaia di neuroni o cellule muscolari collegate.
Normalmente un neurone spara un segnale tutto-o-niente, o, per dirla in termini informatici, un segnale digitale di valore 1 o valore 0. Ma cosa deve verificare la CPU per decidere se sparare o meno il segnale in uscita? Ogni neurone ha una soglia di attivazione, se il livello di attivazione raggiunge la soglia prestabilita, il neurone spara il segnala in uscita. Il livello di attivazione del neurone in un dato momento è determinato dai segnali applicati sulle centinaia o migliaia di porte di ingresso.
Ma non è tutto così semplice! Ogni singola porta ha un filtro che può amplificare o attenuare il segnale in arrivo. Il filtro si chiama sinapsi (nel mio disegno le ho indicate con le lettere w1, w2, e w3). Se ci sono 100 miliardi di neuroni ed ogni neurone può avere decine di migliaia di porte di ingresso … quante sinapsi ci sono nel cervello? Un numero impressionante … dell’ordine di migliaia di trilioni.
L’esistenza di queste sinapsi fu scoperta da Charles Scott Sherrington, grande neurofisiologo, premio Nobel 1932 per la medicina e la fisiologia. Le sinapsi non sono connessioni fisiche perché tra due neuroni s’interpone sempre una microscopica fessura. Per superare questo varco, i segnali si trasformano: da elettrici, diventano chimici. La terminazione dell’assone rilascia sostanze, dette neurotrasmettitori, che, saltata la fessura della sinapsi, sono raccolte dagli appositi recettori presenti sulla membrana della cellula-obiettivo. Catturato il neurotrasmettitore, il messaggio chimico viene riconvertito in impulso elettrico.
Per i nostri scopi, possiamo tralasciare la complicata reazione elettrochimica e vedere le sinapsi come un semplici filtri che amplificano o attenuano i segnali elettrici che vengono frapposti fra l’assone della cellula mittente e il dendrite della cellula ricevente.
Torniamo alla mia figura di prima. Per conoscere il livello di attivazione raggiunto in un certo momento dal neurone in figura occorre calcolare la formula: La = i1*w1 + i2*w2 + i3*w3 dove il valore di ‘w’ è positivo nei casi di sinapsi eccitatorie e negativo per le sinapsi inibitorie. Bene, penserai, anche se si tratta di migliaia di sinapsi, il livello di attivazione del neurone sarà determinato, una volta per tutte, dal risultato di un calcolo ben preciso. Neanche per sogno! Il fattore di amplificazione/attenuazione di w1, w2, e w3 non è fisso. Le connessioni sinaptiche esibiscono, infatti, una certa plasticità, ovvero possono cambiare il fattore di amplificazione/attenuazione di w1, w2, e w3 in risposta a determinati schemi di stimolazione. In altre parole il cervello è capace di plasmare se stesso attraverso il continuo rimodellamento delle sinapsi esistenti e la creazione di sinapsi nuove.
Il tuo cervello, il mio cervello non è uguale a come era solo 1 secondo fa, si rimodella in continuazione, ogni volta che lo usiamo si modifica. Ogni singolo pensiero che passa per la nostra testa modifica qualcosa nei circuiti neuronali del nostro cervello.
Abbiamo già visto che due neuroni, per comunicare, si scambiano sostanze chimiche che li inducono a generare particolari impulsi elettrici. Immagina di ripetere questo processo milioni, miliardi di volte e avrai un’idea, sia pur semplificata, del trasferimento di un’informazione (visiva, acustica...) all’interno di un circuito neuronale del cervello umano.
Metti ora insieme i singoli pezzi e prova ad immaginare i 100 miliardi di neuroni e le migliaia di trilioni di sinapsi collegati tutti insieme in una complicata architettura di interconnessioni percorsa in continuazione da segnali elettrochimici. A questo punto puoi cogliere la complessità pazzesca dell’architettura del cervello, di questo grumo di materia amorfa, informe, leggermente repellente e troppo spesso sottovalutata (vedi Cartesio).
Ma a cosa serve questa complessa architettura? Che relazione ha con i processi di apprendimento, con la memorizzazione? Il segreto della memorizzazione è nella plasticità neuronale, cioè nella capacità delle sinapsi di modificare il fattore di amplificazione o di attenuazione di un segnale.
Vediamo un caso semplice. Immagina, per esempio, di cogliere un fiore mai visto prima e che qualcuno ti dica che il fiore in questione si chiama ‘fresia’ (in costiera amalfitana, dove crescono spontaneamente, le fresie dovrebbero essere già fiorite in questo periodo). Ti accorgi che questo fiore è caratterizzato da un profumo piacevolissimo e lo annusi varie volte. Questo tipo di informazione viaggerà dalla tua mucosa olfattiva (la parte interna del naso che "sente" gli odori), lungo il nervo olfattivo, fino alla parte della corteccia cerebrale organizzata per analizzare e comprendere i profumi. Nel fare ciò, l’informazione attraverserà un numero enorme di sinapsi creando l’equivalente di un "sentiero" neuronale. Al ripetersi dell’esperienza, ogni volta che riannusi il fiore, l’informazione viaggerà nuovamente lungo lo stesso percorso rinforzandolo ancora di più, proprio come il passaggio di molte persone sulla neve fresca crea un solco sempre più profondo in relazione al numero di persone che vi passano.

Questo processo, chiamato “facilitazione”, è la base fisica dei processi di apprendimento e memorizzazione: quando un’informazione è passata un gran numero di volte attraverso lo stesso "sentiero", cioè la medesima sequenza di sinapsi, le sinapsi stesse sono così "facilitate" che, per esempio, quando sentirai, dopo un certo tempo, lo stesso profumo piacevolissimo, automaticamente lo abbinerai all’immagine di un fiore chiamato fresia. Ecco generato il ricordo. Io ho sentito il profumo delle fresie da bambino e sono ancora in grado di riconoscerlo a occhi chiusi.
Lo stesso accadeva quando, a scuola, si cercava di memorizzare una poesia. Ripetendo mentalmente, in continuazione, una sequenza di parole si andava a rinforzare un certo percorso neuronale che poi era facile ripercorrere quando si veniva interrogati in classe. Questo meccanismo spiega anche un altro piccolo mistero: perché mai, quando abbiamo imparato una poesia, è così difficile recitarla partendo dalla seconda strofa e non dall’inizio? Proprio perché l’intera memorizzazione fa parte di un percorso "facilitato": solo imboccandolo dall’inizio si riesce a ripercorrerlo senza difficoltà.
Questa teoria dell’apprendimento fu proposta per la prima volta dallo psicologo canadese Donald Olding Hebb che introdusse quella che è ancora conosciuta come la “regola di Hebb”, o dell'apprendimento hebbiano. Secondo questa regola: «se un neurone A è abbastanza vicino (minima fessura sinaptica, NdA) ad un neurone B da contribuire ripetutamente e in maniera duratura alla sua eccitazione, allora ha luogo in entrambi i neuroni un processo di crescita o di cambiamento metabolico tale per cui l'efficacia di A nell'eccitare B viene accresciuta».
Ovviamente il processo dell’apprendimento è molto più complesso. Le informazioni da apprendere e memorizzare sono caratterizzate da diversi parametri (colore, sapore, suono, emozione, dimensione, gioia, sofferenza...) che, presi uno per uno, interessano aree cerebrali differenti. Il cervello è infatti suddiviso in centinaia di aree, ognuna delle quali governa una specifica funzione.
Ogni volta che pensiamo, ricordiamo, parliamo, cantiamo, corriamo, annusiamo o soffriamo, queste aree si attivano in maniera trasversale, attraverso un processo ancora non ben chiarito d’integrazione dei singoli aspetti della realtà. Il mistero maggiore è come facciano i frammenti dispersi nelle varie aree del cervello a ricomporsi, all’occorrenza, in qualche millesimo di secondo, facendo riemergere il ricordo completo. Più facile, invece, è capire perché alcuni ricordi si perdano (o vengano fatti sparire volontariamente): basta che il percorso "facilitato" tra le sinapsi si cancelli o si indebolisca, e il ricordo diventa inaccessibile.
Certo, è legittimo pensare che l’apprendimento sia qualcosa di più della ristrutturazione di un certo numero di sinapsi... ma è assolutamente certo, esistono prove concrete, che senza la plasticità neuronale non saremmo capaci di apprendere e di ricordare.
Finora ho cercato di dare un’idea, semplificata al massimo, della struttura e del funzionamento del cervello. Adesso provo a passare ad un argomento molto più controverso e ancora avvolto nel mistero. Ora “si tratta di capire come si passa dal cervello alla mente. Come si passa cioè dal corpo allo spirito”. (Edoardo Boncinelli)
Ecco qui, penserai, … ricompare lo spirito e la speranza di immortalità. Ma se pensi di poterti ancora aggrappare allo spirito a cui si riferisce Boncinelli per continuare ad illuderti di essere immortale … sorry … sei cascato male.
Il neuro-scienziato Antonio Damasio, portoghese operante negli USA, rappresenta una delle figure di maggior spicco a livello mondiale nel campo delle neuroscienze. Secondo Damasio, lo studio delle funzioni cognitive, e in particolare della coscienza, è stato per lungo tempo trascurato a causa della tradizione filosofica che, come hai visto nel mio precedente articolo sull’anima, può essere fatta risalire a Cartesio. Damasio, nel 1994 ha pubblicato il libro “L'errore di Cartesio” dove spiega come Cartesio non abbia capito che la natura ha costruito l'apparato della razionalità, della coscienza di sé, non solo al di sopra di quello dell’apparato biologico, ma anche a partire da esso e al suo stesso interno. Per la cronaca segnalo che Damasio, nel 2003, ha pubblicato anche “Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello”.
Egli riporta il caso di pazienti con danni nella regione prefrontale che sembrano aver perduto la coscienza di sé e la capacità di provare alcune delle emozioni più comuni. Questi pazienti si comportano come zombie, sono, cioè, capaci di muoversi e di fare cose, ma sembrano aver perso la coscienza di sé. In altre parole questi pazienti sembrano aver perso l’anima.
Mentre sulla struttura e funzionamento del cervello sono stati fatti grandi passi avanti, non altrettanto si può dire per lo studio delle funzioni cognitive, e in particolare della coscienza. Bisogna ammettere che si è ancora molto lontani da una teoria della coscienza.
Riporto qui comunque la teoria della coscienza proposta da Antonio Damasio.
La coscienza, nel modello di Damasio, emerge da specifici fenomeni che hanno luogo nei neuroni del cervello. Damasio usa una terminologia tutta particolare per presentare la sua teoria. Egli introduce il termine "movie-in-the-brain" o "film-nella-testa" per descrivere la capacità del cervello di creare immagini del mondo e del proprio corpo basandosi su mappe neuronali del cervello. L’immagine del proprio corpo e delle sue sensazioni è qualcosa chiamato "proto-self" o "proto-sé". Infine, egli usa il termine core-consciouness per definire la coscienza di sé o "sé autobiografico".
Ho introdotto sopra il termine ‘mappa neuronale’. Cos’è questa cosa strana? Una mappa neuronale può essere immaginata come un insieme di indirizzi a particolari locazioni di memoria nel cervello. Volendo fare una similitudine con le pagine web di Internet si può dire che la mappa neuronale corrisponde agli insieme degli hyperlink presenti sulla Home Page di Positanonews. Cliccando sul collegamento o hyperlink si salta ad una altra pagina con l’accesso alle informazioni d’interesse.
La coscienza, secondo Damasio, consiste nella costruzione di immagini mentali, un film nella testa (movie-in-the-brain) generato da particolari mappe neuronali. Vediamo come funziona. Nel film ci sono due attori protagonisti che interagiscono.
Il primo protagonista è l’immagine del proprio corpo (proto-sé) con le relative sensazioni del momento. Le capacità sensitive di questo personaggio sono molto limitate: le uniche sensazioni che prova sono quelle del momento generate dal rapporto di interazione con il secondo personaggio del film. Il proto-sé ha scarsissima memoria: l'unico passato che possiede è quello, vago, relativo a ciò che è appena accaduto. Non sa fare previsioni per il futuro.
Il secondo personaggio del film è l’immagine di un qualsiasi oggetto del mondo esterno. ‘Oggetto’ qui deve intendersi in modo molto esteso. Può essere un’altra persona, una faccia, un auto, una melodia, un mal di denti, il ricordo di un fatto, ecc. Nel film-nella-testa i due personaggi interagiscono fra di loro in serie di reciproche azioni e reazioni.
Le immagini del proto-sé e dell’oggetto vengono generate da una mappa neuronale di primo livello che permette l’accesso ad una limitatissima base di conoscenza cerebrale.
Nel film abbiamo quindi i due personaggi, proto-sé e oggetto, che interagiscono fra di loro a livello di fotogramma, ma non abbiamo un meccanismo in grado di registrare la storia dell’incontro: la mappa neuronale di primo livello è insufficiente. Per poter registrare la storia occorre passare ad una mappa neuronale di secondo livello gestita da un terzo personaggio, il “narratore silenzioso”.
Costui guarda il film, osserva e valuta, in silenzio, le azioni e reazioni reciproche dei due personaggi. E' importante considerare che il narratore silenzioso dispone di una mappa neuronale di secondo livello ed è quindi in grado di accedere ad un’ampia base di conoscenza cerebrale, con tutti i ricordi, le esperienze e soprattutto i marcatori somatici.
Non mi dilungo qui sul concetto di marcatori somatici altrimenti l’articolo non finisce più. Basti dire che i marcatori somatici ricordano l’esito, positivo o negativo, di incontri similari fra proto-sé e oggetto.
Il narratore silenzioso contempla la scena del film ma non è uno spettatore passivo, egli, oltre a “pensare in merito al pensiero” del proto-sé, può intervenire, in base alla sua più ampia base di conoscenza, per aggiornare la mappa neuronale di primo livello e modificare quindi l’atteggiamento e le sensazioni del proto-sé nella relazione con l’oggetto.
Il narratore silenzioso non è quindi uno semplice spettatore del movie-in-the-brain. Egli stesso sta dentro un film generato dal cervello, o meglio è il protagonista principale del film dal titolo “il narratore che guarda il film dell'incontro fra proto-sé e oggetto”. Ma c'è di più, oltre a contemplare il film, il narratore silenzioso può modificare la storia del film che sta guardando.
La capacità del “narratore solitario” di contemplare le interazioni fra il proto-sé e il mondo e, nello stesso tempo, la sua facoltà di influenzare la storia del rapporto, costituisce, per Damasio, l’essenza della core-consciouness o coscienza di sé.
Rileggendo quest’ultima parte dell’articolo mi sono reso conto che forse tutta la storia del movie-in-the-brain ti risulterà alquanto ermetica se non oscura. Credo che frasi come “pensare in merito ad un pensiero” e “il narratore che guarda il film dell'incontro fra proto-sé e oggetto” siano poco felici, ma non so trovare di meglio. Prova a fare uno sforzo di immaginazione aggiuntivo. Prova a pensare, per esempio, ad una scatola di scarpe dentro una scatola di scarpe più grande. Nella scatola esterna c’è il “narratore silenzioso”, nella scatola interna ci sono il proto-sé e l’ oggetto. Le due scatole, insieme, sono il film-nella-testa generato dalle mappe neuronali.
Questa è la mia personale reinterpretazione della teoria della coscienza di Damasio. Ci sono da fare due valutazioni: la prima è se io abbia in effetti capito completamente la teoria di Damasio; la seconda è se Damasio abbia colpito nel segno nell’elaborare la sua teoria.
Una cosa è certa: a Damasio va senz'altro riconosciuto il merito di aver contribuito a introdurre il corpo nella discussione scientifica sulla coscienza. L'idea che l'organismo partecipi all'esperienza cosciente rompe nettamente con una tradizione che vuole la mente ben distinta dal corpo e restituisce alla coscienza stessa i requisiti biologici indispensabili per farne un oggetto di studio scientifico.
Nella prossima puntata cercherò di attaccare la seconda illusione dell’uomo, quella di ritenersi il centro ed il fine ultimo di tutto l’Universo.
A sabato prossimo!
Luigi Di Bianco
comments are welcomed ... ldibianco@alice.it
Il contenuto di questo articolo ed i relativi diritti sono di proprietà dell´autore.

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Riporto un articolo apparso sul Corriere della Sera il 25 giugno 2009

LA RICERCA
Cervello: «fotografato» un ricordo
Grazie a un'etichetta fluorescente confermati i meccanismi molecolari della memoria


L'incremento della fluorescenza (verde) fra le frecce gialle rappresenta il momento della formazione del ricordo (Science)

ROMA - Scattata la foto della formazione di un ricordo a livello molecolare: con un interruttore luminoso a livello delle sinapsi (i ponti di comunicazione dei neuroni), scienziati americani e canadesi hanno osservato in diretta tutte le fasi molecolari dell' incisione della traccia di un ricordo nel cervello. Resa nota la scorsa settimana sulla rivista Science, il risultato si deve a Wayne Sossin del Montreal Neurological Institute and Hospital (The Neuro), McGill University con esperti della University of California, Los Angeles.

ETICHETTA FLUORESCENTE - Quando si forma un ricordo, a livello delle sinapsi che legano e mettono in comunicazione i neuroni, si ha un consolidamento della struttura del «ponte sinaptico» tramite la produzione di nuove proteine. Già un anno fa, grazie a Gary Lynch dell'Università di Irvine in California in un lavoro pubblicato sul Journal of Neuroscience, la formazione di un ricordo era stata immortalata per la prima volta con tecniche microscopiche nel cervello di topolini, con un «primo piano» sulla riorganizzazione delle sinapsi. Adesso il gruppo di Sossin ha ripetuto l'impresa con un metodo diverso. Con un'etichetta fluorescente che si lega alle nuove proteine formate, Sossin ha mostrato che a livello delle sinapsi, subito dopo l'incameramento di un'informazione da parte del cervello, aumenta la fluorescenza. Ciò significa, a ulteriore conferma di quanto si sapeva già, che mentre formiamo e fissiamo un ricordo, nelle sinapsi vengono prodotte nuove proteine ed è grazie a queste che la sinapsi si consolida e il ricordo rimane fissato nel cervello a lungo termine.

venerdì 23 ottobre 2009

Evoluzione dell'esoterismo e delle religioni.



Quando parliamo di “DIO” o di qualunque altre forma di entità soprannaturale, dobbiamo essere consapevoli che è una “nozione” non molto precisa e Gerardus van der Leeuw, nel suo libro Fenomenologia della religione, ci sottolinea che l’esperienza religiosa vissuta si riferisce a qualche cosa DI DIVERSO, CHE SORPRENDE, che esce dall’ordinario.
La credenza più antica è generata da osservazioni empiriche; e per la maggior parte dell’evoluzione della religione primitiva, dobbiamo sostituire all’immagine di Dio (concepita solo negli ultimi millenni), la semplice NOZIONE del diverso, dell’eterogeneo, dello straordinario.
Il soprannaturale, in qualunque sua forma, è dotato di Potenza (o MANA), e non è di natura fisica, ma si rivela nella forza fisica o in tutte le forze e capacità possedute dall’uomo.
Sciamanesimo, in antropologia culturale, è un termine che indica l'insieme delle credenze ed il modo di vivere e di vedere il mondo, di società animiste non alfabetizzate, imperniato intorno ad una particolare figura di guaritore-saggio ed alla sua attività magico-religiosa: lo sciamano.

Lo sciamanesimo si riferisce a una vasta gamma di credenze e pratiche tradizionali che comprende la capacità di diagnosticare e curare malattie, nonché tutti i possibili problemi della comunità e del singolo, dal come procurarsi il cibo al come sbarazzarsi dei nemici. Ciò attraverso l'asserita capacità dello sciamano di "viaggiare" in stato di trance nel mondo degli spiriti e di utilizzare i loro poteri. È questa la principale caratteristica dello sciamano che lo contraddistingue da altre forme di guaritore.

Lo sciamanesimo è un'antichissima pratica transculturale che presenta caratteri distintivi ben precisi e comuni, all'interno di una struttura flessibile, capace cioè di adattarsi a diverse culture e religioni.

Riportiamo, quindi, un breve riassunto dell'evoluzione antropologica:
Il numero di “Science” del 2 ottobre è stato dedicato alla descrizione dell’Ardipithecus ramidus, l’ominino riportato alla luce tra il 1992 e il 1995 da Tim White ad Aramis, in Etiopia, e datato a 4,4 milioni di anni fa, una forma né scimmia e né uomo. E’ un antenato di Lucy, l’australopiteco vissuto circa 3,5 milioni di anni fa; e discende dagli antichissimi ardipitechi, vissuti fra 7 e 4,4 milioni di anni fa. Anche se non è esattamente l’anello mancante, si ci avvicina moltissimo. Dagli australopitechi discende poi il genere homo. (vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Evoluzione_umana).
Un milione di anni fa, una nuova specie denominata Homo Erectus (che aveva da poco soppiantato cugini più antichi come l'Homo Ergaster e l'Homo Habilis) aveva fatto la sua comparsa in Africa e in Asia e si era spinta successivamente anche in Europa e in Italia.
Per migliaia di anni, deserti, ghiacciai e vasti mari interni avevano isolato i vari gruppi di ominidi.
Nell'ambiente gelido e inospitale dell'Europa settentrionale si era sviluppata una nuova specie ben adattata al freddo: l'Uomo di Neanderthal appunto. L' Homo di Neanderthal è stato una delle specie umane di maggior successo in assoluto. Per 250.000 anni ha dominato l'Europa, un continente stretto dalla morsa delle ere glaciali e popolato da belve e animali selvatici.
Poi, 100.000 anni fa, la sfida decisiva: l'arrivo - ancora dall'Africa - di un'altra specie umana.....l' Homo Sapiens. La fenomenologia delle religioni risale almeno all’uomo di Neanderthal, con il culto dei morti e degli antenati, e si replica poi nell’homo sapiens, con lo sciamanesimo.
Nei pressi di Baku, in Azerbaigian, nel sito di Qobustan, vi è un insediamento con numerose incisioni rupestri del periodo neolitico. Si possono ammirare più di 4000 iscrizioni che risalgono a oltre 12.000 anni fa e pitture rupestri che ritraggono uomini e donne dell'età della pietra impegnati nella caccia o in danze rituali. Si ritiene che le loro danze fossero accompagnate dalle melodie del Gaval-Dashy (la pietra tamburino), una roccia che emette un suono profondo e risonante quando viene sfregata. Segno che già a quel tempo esistevano religioni primitive post sciamanesimo.
Bisogna aspettare i Sumeri, con l’invenzione della scrittura per passare dalla preistoria alla storia. La Mesopotamia, nel periodo che va dalla fine dell'ultima età glaciale (c. 10000 a.C.) e l'inizio della storia,venne abitata da varie civiltà come quella Ubaid e quella Uruk. Uno dei siti neolitici più vecchi conosciuti in Mesopotamia è Jarmo, datato 7000 a.C. circa. A partire dal 3500 a.C. la Mesopotamia venne abitata da fiorenti civiltà come i Sumeri, gli Accadi, i Babilonesi, gli Assiri, gli Ittiti, gli Hurriti e i Cassiti. Alcune di queste civiltà fecero importanti scoperte e invenzioni. Per esempio i sumeri furono tra i primi a inventare la scrittura mentre i babilonesi hanno inventato uno dei primi codici di leggi della storia, il Codice di Hammurabi.

RELIGIONE SUMERA:
I Sumeri adoravano una triade principale, rappresentata da An, dio del cielo; da Enlil, dio dell'aria, o dell'alito del vento e delle grandi tempeste (si consideri che il territorio è alluvionale e palustre; la parola paradiso, di derivazione indoeuropea, significa forse giardino palustre) ; e da Enki, dio della terra o del sottosuolo. Veneravano inoltre la dea Inanna, dea dell'amore e della guerra (equivalente alla dea Accadica Ishtar), il dio Dumuzi, dio della pastorizia, il dio Ningirsu patrono della città di Lagash, la dea Nammu, dea generatrice, e altre divinità, circa seicento, suddivise fra dei minori ed oggetti sacri.

Gli dei Sumeri (dingir, plurale dingir-dingir oppure dingir-e-ne) erano generalmente i patroni di particolari città, dove venivano venerati e avevano il loro tempio. La loro importanza religiosa logicamente seguiva le sorti politiche della città, cosicché spesso predominava, anche su tutto il paese, a volte invece era asservita ai voleri del vincitore. Particolarmente temuta era la distruzione del simulacro sacro, o il furto della statua che veniva portata in esilio dal nemico.

Secondo il credo Sumero, gli dei avrebbero creato gli umani dall'argilla, per usarli come servitori. Spesso gli dei esprimevano la loro ira e frustrazione nei terremoti: l'essenza della religione Sumera era sottolineare che tutta l'umanità stava alla mercé degli dei.

I Sumeri credevano che l'universo consistesse in un disco piatto racchiuso in una cupola. L'aldilà significava la discesa in un vile mondo inferiore, per passare l'eternità in una miserabile esistenza come un fantasma (Gidim).

I templi sumeri erano costituiti da una navata centrale con corridoi ai lati. A fianco dei corridoi c'erano le stanze dei sacerdoti, alla fine di uno dei due c'era un palco e una tavola di argilla per i sacrifici animali e vegetali. I granai e i magazzino si trovavano solitamente vicino ai templi. Dopo un certo periodo, i Sumeri cominciarono a piazzare i templi sopra colline artificiali, terrazzate e a più strati: le ziggurat.

Fortunatamente, oggi conosciamo gli aborigeni australiani, vissuti per almeno 50.000 anni isolati dagli altri continenti, e che non hanno quindi subito l’evoluzione dei concetti religiosi degli altri popoli della terra. E’ infatti molto probabile che, essendo la religione sumera molto strutturata, questa discenda da tradizioni orali o archetipe inconscie risalenti ad almeno 12.000 (o più) anni prima dell’avvento della scrittura. Tale tradizione orale (e/o archetipa inconscia) ha poi interessato tutte le altre religioni della terra (Induismo, Buddismo, Taoismo, Magia Egiziana, Ebraismo, Mitologia greca (da cui discende anche la filosofia greca), etc.. L’Australia è l’unico lembo di terra oggi sul Pianeta, nel quale i reperti archeologici e soprattutto le opere d’arte, permettono di ricostruire 50.000 anni di storia di popoli cacciatori-raccoglitori dell’età della Pietra, e nel quale persistono ancora tradizioni orali che confortano tali ritrovamenti con testimonianze dirette dei loro contenuti concettuali. Ad esempio, questo popolo non ha il concetto di Dio e nemmeno quello della proprietà (sono loro che appartengono alla terra dove vivono, e non viceversa). Vedi http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/osservatorio/articoli/osserva40.html.

domenica 27 settembre 2009

Giustizia, etica e senso del bene. Le tre vie che portano alla verità, secondo il Cardinale Carlo Maria Martini.

Post in costruzione.
Dal corriere della sera del 27 Settembre 2009.
Domande & Risposte al Cardinale Martini.
"Eminenza, sono una donna di Milano, artista, che ha seguito la sua Cattedra dei non credenti. Mi piacerebbe sapere cosa intende con la parola autenticità? Autenticità e verità, quale legame esiste tra le due parole?" --- Antonella Ortelli (Milano)

*** La risposta del Cardinale:
"L'autenticità mi pare ammetta......

sabato 26 settembre 2009

Un grave limite di tutte le religioni che si basano sulla metafisica.

Premesso che, come giustamente ha affermato Benedetto XVI a Ratisbona, le sacre scritture vanno interpretate secondo ragione, il cattolicesimo, come tante altre religioni, che si basano sulla metafisica, ha un grave limite. Si ritiene che Dio, o chi per Lui, abbia voluto comunicarci un CODICE ETICO simile ai nostri codici (penale, civile, etc.) con articoli e commi vari (ovvero, per il cattolicesimo, i dieci comandamenti + altri peccati in cui si incorre in scomuniche ed altro). Questo implica una generalizzazione e delle regole ferree e non elastiche, ancor più delle nostre leggi penali in cui vi sono contemplate almeno le "attenuanti". Con questa visione metafisica delle leggi divine, o una cosa è BIANCA oppure è NERA, in quanto si ritiene che una LEGGE DIVINA DEBBA ESSERE NECESSARIAMENTE PERFETTA. Niente di più inumano ed irrazionale. Come, giustamente, disse Umberto Eco a proposito della CITTA' IDEALE di Platone, questa poteva andare bene per gli dei e non per gli uomini, in quanto imperfetti. Nel vangelo stesso, Cristo ha chiarito la questione, quando uno scriba gli chiese qual'era il COMANDAMENTO PIU' GRANDE. Intanto si evince che non tutti i peccati hanno la stessa importanza, ma nella risposta di Cristo "Ama Dio.... e ama il prossimo tuo come te stesso", espicitata meglio, subito dopo, nella parabola del buon samaritano (capire cosa fare per diventare prossimo per gli altri = altruismo verso coloro che ne hanno bisogno), vi è la chiave di volta per risolvere il problema. Infatti, subito dopo, sempre nello stesso vangelo, dice che gli altri comandamenti derivano da questo comandamento più importante (l'altruismo). Amare Dio, inoltre, porta sempre, come conseguenza, ad amare i fratelli più piccoli (vedi il passo del vangelo: "avevo fame e mi avete dato da mangiare, ......). Dovrebbe essere, quindi, lapalissiano, ma purtroppo non lo è ancora per chi si basa sulla metafisica, che ogni regola religiosa si deve interpretare secondo tale "chiave di volta"; ovvero, ogni singola azione deve essere giudicata, nel suo complesso, se è una azione altruistica o egoistica, che porterà bene o male al prossimo. Per fare un esempio concreto, se si fa abortire una bambina di 9 anni violentata dal padre (caso recente brasiliano), i medici che lo fanno non possono incorrere in una scomunica, visto che lo fanno per salvare la vita della bimba, destinata a morire sicuramente nel parto. Lo stesso dicasi, ad esempio, per una separazione (anche in presenza di figli) quando si arriva a "picchiarsi" in continuazione e si crea un clima di grave tensione: è irrazionale pensare che questo sia il volere di Dio. La regola dettata da Cristo sull'indissolubilità del matrimonio va interpretata secondo ragione, per limitare gli abusi egoistici dei più forti (in genere gli uomini ricchi e potenti che ripudiavano le mogli, per sposarne altre più belle e più giovani); ma in ogni interpretazione di una legge religiosa DEVE SEMPRE PREVALERE l'altruismo e il bene degli altri, specialmente dei più deboli e bisognosi, tenendo presente che non si può essere sempre dei santi, ma delle persone normali, soggette a gelosie, ire, disistima, impazienza, odio, e tanti altri difetti, che impediscono, a volte, un'accettabile convivenza. E anche la buona volontà, nella realtà dei fatti, non è sufficiente nemmeno per nascondere ai figli il reale stato di conflitto e di tensione, con conseguenti gravi traumi psichici.

domenica 21 giugno 2009

L'intelligenza e i domini di conoscenza per creare nuove rappresentazioni del mondo.

Biologia
Su "PLoS ONE": Dal sito: http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/articolo/1338888
Scimmie intellligenti... chi più, chi meno

Gli studiosi hanno utilizzato alcune batterie di test per determinare il parametro "g" elaborato in psicologia per valutare la correlazione tra i risultati ottenuti in diversi compiti cognitivi

Ricercatori della Harvard University hanno mostrato per la prima volta come l'intelligenza possa variare tra diversi di individui in una popolazione di scimmie, nella fattispecie nel tamarino a chioma di cotone (Saguinus oedipus).

Nel nuovo studio sono stati considerati 22 tamarini sottoposti a 11 compiti diversi congegnati in modo da valutare diverse funzioni cognitive, tra cui la memoria di lavoro, il controllo esecutivo, la velocità di elaborazione delle informazioni e il controllo inibitorio.

Grazie ai test, gli studiosi sono riusciti a identificare esemplari di alta, media e bassa capacità, in base a un punteggio di intelligenza generale. Quest'ultimo, indicato anche con la lettera “g”, è un parametro pensato per l'intelligenza umana ed è concettualmente simile al più famoso quoziente di intelligenza QI. Proprio l'utilizzo di un parametro “umano” consente ai ricercatori di avere ulteriori informazioni sull'evoluzione dell'intelligenza nei primati.

Il parametro g si riferisce alla correlazione positiva delle prestazioni dimostrate in diversi compiti all'interno di un test di intelligenza: Konika Banerjee e colleghi hanno trovato che g rende conto del 20 per cento delle prestazioni delle scimmie nei compiti proposti nel corso dello studio, mentre il restante 80 per cento della variabilità sembra dovuto a fattori contingenti relativi al compito stesso o all'ambiente.

Sebbene non si possa fare un confronto diretto, il valore di “g” per l'uomo rende conto del 40-60 per cento della variabilità individuale nei risultati di diversi compiti di un test QI: da questo punto di vista, l'incremento potrebbe essere effettivamente connesso all'evoluzione del cervello umano.
"L'intelligenza generale è una componente importante dell'intelligenza umana ma è anche possibile che si basi su substrati neurali antichi”, ha commentato Banerjee, ricercatrice del dipartimento di psicologia della Harvard e coautrice dell'articolo pubblicato sull'ultimo numero della rivista ad accesso libero PLoS One. “Se diversi taxa di primati differiscono nel valore di 'g' e se gli esseri umani si collocano a grande distanza dal resto delle specie ciò può significare che soltanto noi siamo in grado di combinare pensieri derivati da diversi domini della conoscenza per creare nuove rappresentazioni del mondo.”
Sempre secondo i ricercatori la batteria di test da loro ideata, in cui molti compiti comprendevano l'ottenimento di una porzione di cibo, dovrebbe rappresentare un primo passo per la realizzazione di metodi di valutazione standard per tutti i primati, da verificare anche con altre specie. (fc)

domenica 17 maggio 2009

ALTRI IMPORTANTI TASSELLI PER LA TESI DI UNA EVOLUZIONE SENZA DISCONTINUITA'

Un aspetto, anche se non vincolante del nostro sistema FILOSOFICO, basato sulla RETE DEGLI INCONSCI, prevede la TESI di un'evoluzione continua dalla materia inorganica all'UOMO SAPIENS SAPIENS,senza necessari interventi divini (il che non esclude nemmeno che vi possano essere stati per motivi a noi sconosciuti).

Un primo tassello è il passaggio dalla materia inorganica a quella organica, e un recente articolo scientifico su "NATURE" e ripreso dal corriere della sera, sembra avvalorarlo:

Riprodotta in laboratorio parte di una molecola di Rna attraverso una soluzione simile al brodo primordiale.

MILANO - Quattro miliardi di anni fa probabilmente la vita si è originata sulla Terra dal cosiddetto «brodo primordiale», una soluzione acquosa da cui si sono formate le prime molecole organiche. Un team di scienziati britannici è riuscito a riprodurre in laboratorio parte di quel processo.

DODICI ANNI DI PROVE - In uno studio pubblicato su Nature, ricercatori dell’Università di Manchester, guidati da John Sutherland, illustrano come avrebbero creato ribonucleotidi (unità di RNA, molecola base di tutti i processi vitali) a partire da elementi semplici, come quelli che si trovavano presumibilmente nel brodo primordiale. Anziché partire subito aggiungendo fosfato a zuccheri e basi azotate, come era stato fatto finora negli esperimenti di questo tipo, gli scienziati sono partiti dagli elementi più semplici e hanno riprodotto le condizioni ambientali scaldando la soluzione: l’evaporazione ha lasciato indietro un residuo di molecole ibride. Successivamente gli scienziati hanno di nuovo aggiunto acqua, fatto scaldare, lasciato evaporare e irradiato con raggi ultravioletti, in modo da riprodurre il ciclo ambientale dell’ecosistema primordiale: in ogni nuova fase le molecole risultavano sempre più complesse. Infine, solo nella fase conclusiva, hanno aggiunto fosfato, che ha funzionato anche da catalizzatore e da regolatore di acidità: «Sorprendentemente si è formato un ribonucleotide!», ricorda con entusiasmo Sutherland. «Avevamo il sospetto che ci fosse qualcosa di buono là fuori, ma ci sono voluti 12 anni per scoprirlo».

LA COREOGRAFIA DELLE MOLECOLE - Elementi e molecole protagonisti del processo di origine della vita erano noti da tempo (le molecole base usate per questo esperimento sono state trovate sia nella polvere interstellare che nei meteoriti); ma ora finalmente sembra sia stata stabilita la coreografia in cui tali reagenti devono incontrarsi per dare dei risultati utili. Nessuno, in vent’anni di tentativi, era stato in grado di dimostrare concretamente la formazione di elementi di Rna dalla reazione di molecole semplici e sostanze chimiche. Per questo l’esperimento di Sutherland e colleghi rappresenta un passo fondamentale per dimostrare la validità della teoria che pone l’Rna come punto di partenza della vita sulla Terra. Esistono tuttavia ancora molti scettici sulla possibilità che con questo sistema possa essere creata un’intera molecola di Rna, alquanto complessa. Sutherland però spera di sviluppare ulteriormente le sue ricerche in modo da risolvere anche i dubbi rimasti.

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Un altro tassello è dato da un altro articolo, riportato su REPUBBLICA, sulla facoltà di ASTRAZIONE di alcune scimmie. Qualità che prima si riteneva un'esclusiva del genere umano:

Uno studio Usa dimostra come il MACACO RHESUS sia capace di valutare le occasioni perdute. Sottoposti a un gioco, diversi esemplari hanno mostrato rammarico per la perdita della ricompensa migliore

Rimorso, senso di colpa, rammarico per le occasioni perdute: queste sensazioni così umane e particolari appartengono anche alle scimmie. Anche loro, come noi, si mangiano le mani quando sprecano una buona opportunità. Il dottor Ben Hayden della Duke University, Stati Uniti, ha studiato questo tipo di reazioni nel macaco rhesus, dimostrando per l'ennesima volta quanto siano complessi questi animali: "Si tratta del primo studio che dimostra in modo evidente quanto le scimmie, proprio come gli esseri umani, facciano pensieri del tipo "avrei potuto, avrei dovuto, avrei voluto...". Tipicamente nostri". Ovvio che sensazioni di questo tipo vadano contestualizzate all'interno di una realtà che, per quanto evoluta, non è umana.

Secondo il professor Angelo Tartabini, docente di Psicologia animale presso l'università di Parma e tra i massimi esperti italiani del comportamento di questi primati, senso di colpa e rimorso sono forme di interiorizzazione che nascono dalla coscienza, o comunque dalla consapevolezza di sé e della realtà circostante. "Non si possono provare emozioni di questo tipo - spiega - se non si è consapevoli delle proprie azioni, di aver commesso un errore o di non aver fatto la cosa giusta al momento giusto. Si tratta di una sensazione comune anche ai cani, e che caratterizza le specie animali emotivamente più vicine all'uomo, come le scimmie".

I macachi rhesus vivono in colonie numerose, da 20 a 180 individui, organizzate secondo una struttura matriarcale, all'apice della quale si trova una femmina "alfa". I rapporti tra le femmine sono piuttosto pacifici, mentre i maschi hanno spesso comportamenti aggressivi; la cura dei piccoli e la sorveglianza del territorio sono gestite in comune da tutta la colonia. Tartabini spiega che rimorso e rammarico, nel caso di questi animali, derivano generalmente dalla violazione di regole sociali, e la scimmia è infatti l'animale sociale per eccellenza. "Ogni comportamento improprio - conclude - viene percepito come estraneo al gruppo, e genera nell'animale la paura di venire escluso. E' da qui che nasce il senso di colpa".

Per realizzare l'esperimento il dottor Hayden ha coinvolto le scimmie in un gioco di gruppo che prevedeva di dover scegliere una opzione tra otto disponibili. Ogni fiche, contrassegnata da un colore diverso, rappresentava una vincita e la verde era quella che prevedeva il premio migliore, un succo di frutta dolce. Dopo che ogni scimmia aveva scelto, le veniva mostrato cosa aveva perso scartando altre opzioni. Le reazioni neuronali dell'animale venivano a quel punto registrate con uno scanner e la regione adibita a monitorare le conseguenze di ogni azione si illuminava durante il gioco: più la ricompensa era alta e più quella zona cerebrale si mostrava attiva. E lo stesso accadeva ogni volta che alle scimmie veniva mostrato il premio mancato, suggerendo agli studiosi che gli animali, in quel momento, stavano valutando ciò che avrebbero potuto avere. "Le persone sono davvero brave a pensare non solo al perché qualcosa accade, ma a ciò che sarebbe potuto accadere. Ora sappiamo che anche le scimmie ragionano così. Anche loro percepiscono il valore astratto delle cose".

lunedì 4 maggio 2009

OSSERVAZIONI SULLE COMUNITA’ BIOLOGICHE SU CUI RIFLETTERE

PREMESSA.
Richard Dawkins, nella sua opera più nota, Il gene egoista, pur mantendo un impianto complessivo evoluzionista, identifica nel gene, anziché nella specie, il soggetto principale della selezione naturale che conduce il processo evolutivo. Dawkins, infatti, afferma che: "L'unità fondamentale della selezione, e quindi dell'egoismo, non è né la specie né il gruppo e neppure, in senso stretto l'individuo, ma il gene, l'unità dell'ereditarietà.", aggiungendo, inoltre, che studiosi e scienziati a lui precedenti hanno sbagliato tutto perché sono partiti dal presupposto che la cosa più importante dell'evoluzione fosse il bene della specie(o del gruppo) invece che il bene dell'individuo (o del gene).

Oggi, conosciamo meglio la natura e in special modo il comportamento di comunità di individui, che pur non ribaltando il concetto di Dawkins, lo integrano e lo compensano in un modo del tutto sorprendente.

Conosciamo, infatti, l’evoluzione degli Insetti sociali (Termiti, vespe, api e formiche). Qui sembra che ci sia una "sfida" al concetto di selezione naturale, determinato dall'ambiente, per cui individui con caratteristiche diverse hanno un diverso successo riproduttivo. Gli insetti sociali mostrano una caratteristica che, a prima vista, sembra incompatibile con la visione di Dawkins. Infatti, le femmine delle api sono predisposte a "rinunciare" alla riproduzione se si sviluppano in celle normali e sono esposte al feromone della regina. Tale caratteristica ereditaria porta, nella stragrande maggioranza dei casi, ad un successo riproduttivo nullo. Sappiamo inoltre che gli insetti sociali discendono da specie solitarie, in cui ogni individuo sviluppa la capacità riproduttiva. Lo sviluppo di tali comportamenti sociali rispecchia un caso particolarmente eclatante di altruismo, ossia di comportamenti che riducono il successo riproduttivo di chi li mette in atto, a vantaggio di consanguinei. Molti naturalisti cercavano di spiegare questa apparente contraddizione, facendo dei ragionamenti per cui la rinuncia a prolificare, per permettere ad uno stretto consanguineo di avere molti discendenti, è una "strategia" premiata dalla selezione naturale se la quantità di propri geni che un individuo trasmette "indirettamente" è maggiore di quella che trasmetterebbe riproducendosi da sé. Nel caso delle api, la regina che si riproduce è madre o sorella delle operaie che la aiutano, e produce molti più discendenti di quanti potrebbe produrne un'ape solitaria.
Sotto un certo aspetto, dobbiamo anche considerare che gli insetti sociali si comportano come tante cellule, facenti parte di un unico organo (la collettività) e il bene comune della comunità viene anteposto a quello dell’individuo. E a tal proposito, negli ultimi anni è venuto alla luce un meccanismo che potrebbe spiegare in un modo del tutto imprevisto l'origine delle diverse aggregazioni sociali di individui sperimentate dall'evoluzione biologica. Secondo Jean Claude Ameisen si tratta dalla possibilità di scatenare la morte prima del tempo nelle entità biologiche che si organizzano in società, che si tratti di colonie batteriche, o di insetti sociali o animali multicellulari. La tesi di Ameisen è che l'apoptosi o morte cellulare programmata, vale a dire la morte "prima del tempo", sia la chiave per spiegare l'evoluzione e la storia individuale delle strutture multicellulari differenziate e complesse, come sono i corpi animali, nonché di alcune forme di organizzazione sociale di particolare successo, come le popolazioni di microrganismi o le società degli insetti. Mentre le cellule che muoiono per necrosi nel corso delle reazioni infiammatorie esplodono, nell'apoptosi la membrana cellulare non si rompe e si osserva una sorta di collasso e frammentazione direttamente all'interno della cellula. Da diversi decenni si sapeva che la morte delle cellule nel corso dello sviluppo serve a scolpire la forma del corpo, per esempio quando si devono separare le dita della mano. Nella seconda metà degli anni Ottanta si è quindi dimostrato che la morte cellulare viene utilizzata per selezionare le popolazioni di linfociti che sovrintendono al controllo del sé immunologico e per strutturare le reti nervose che incorporano il sé psichico. La scoperta che questa morte è programmata e controllata da geni e proteine particolari attraverso un meccanismo che sopprime l'azione di specifici esecutori del suicidio, normalmente presenti nelle cellule, ha portato alla conclusione che le cellule hanno bisogno di segnali dal contesto sociale in cui si trovano per non suicidarsi. Si è poi visto che l'acquisizione dell'incapacità di suicidarsi da parte delle cellule è uno dei passaggi cruciali nella progressione delle cellule tumorali verso la malignità fatale, ma anche dell'insorgenza delle malattie autoimmuno. Per contro, il suicidio cellulare attivato in modo sbagliato può causare il Parkinson o l'Alzheimer.
L’egoismo genetico sembra così avere la massima esaltazione nel TUMORE (o neoplasia), neoformazione di tessuto costituito da cellule atipiche modificate rispetto alle normali. La malattia tumorale si sviluppa per clonalità, per mancanza di differenziazione cellulare e svincolata dai meccanismi di regolazione che operano nell’organismo normale.

Analizziamo, quindi, più nel dettaglio alcuni comportamenti dei BATTERI:
1) E' noto che la Ps aeruginosa è un batterio cosiddetto "opportunistico", in grado di infettare solo l'ospite con difetto di difese (come in fibrosi cistica, ustioni, AIDS). Per attuare il piano di infezione la Ps aeruginosa produce una enorme quantità di cosiddetti "fattori di virulenza". Molti di questi sono regolati dal sistema "quorum sensing". E' questo un meccanismo per cui un batterio produce delle piccole molecole diffusibili, chiamate AHL, che vengono riconosciute e captate dai batteri circostanti. Quando la concentrazione di queste molecole aumenta oltre una soglia critica, a causa dell'aumento del numero di batteri, i livelli di queste molecole entro le cellule sono sufficienti ad indurre l'attivazione di geni di virulenza, prima silenti, entro il batterio. Tra i fattori generati da questi geni figurano quelli che inducono la formazione di "biofilm", cioè quella sostanza mucoide che protegge gli aggregati batterici (colonie) contro le difese dell'ospite ed anche contro gli antibiotici, in una sorta di resistenza armata. Il "quorum sensing" è dunque un meccanismo di comunicazione tra batteri che li abilita ad agire come comunità nella regolazione di espressione genica. Questo sistema conferisce ai batteri un vantaggio selettivo sulle difese dell'ospite ed è pertanto fondamentale per lo sviluppo della malattia polmonare.

2) Il cannibalismo tra batteri è uno strano comportamento attuato in risposta a fattori di stress come la denutrizione, lo shock termico e la presenza di determinate condizioni chimiche nell’ambiente. A quel punto la colonia riduce la propria popolazione uccidendo molte cellule per preservare le altre, applicando pare anche una rudimentale forma di intelligenza sociale che permette di non autodistruggere la colonia. I ricercatori israeliani della Tel Aviv University Eshel Ben-Jacob spiegano: “Se esponiamo le colonie batteriche ai segnali chimici che di solito emettono per evitare la competizione da parte di altre colonie o in risposta a gravi stress, faranno loro stessi il lavoro per noi, uccidendosi l’un l’altro.
3) Scoperta una proteina batterica che controlla la dimensione della colonia
Siamo abituati a pensare ai batteri come a singoli organismi unicellulari, ciascuno per sè, invece alcune scoperte degli ultimi anni ci hanno dimostrato che possono comunicare tra di loro come le cellule di un organismo pluricellulare. E ora si scopre che questa comunicazone raggiunge livelli di sofisticazione tali da modulare la dimensione delle colonie inducendo suicidi < sacrificali >. Molti batteri hanno una specie di modulo genetico per il suicidio, responsabile della produzione di una pericolosa tossina a vita lunga e di un'antitossina più instabile ( a vita breve ). Quando il modulo è acceso, la sintesi continuata dell'antitossina compensa la presenza della tossina, mantenendo in vita il batterio. Se il modulo è spento, le scorte di antitodo finiscono e il batterio muore. Su < Science > un gruppo di ricercatori istraeliani ha chiarito che a controlare questo fenomeno, spegnendo il modulo, è l'azione di una proteina chiamata " fattore di morte extracellulare " ( EDF ), prodotta dai batteri stessi. Ma perchè mai un batterio dovrebbe suicidarsi? La domanda ovviamente non ha senso se lo si considera un organismo unicellulare isolato, ma la prospettiva cambia in un contesto di pluricellularità. del resto non va dimenticato che negli organismi pluricellulari la morte programmata è fondamentale per lo sviluppo. Nei batteri lo scopo è ridurre la densità della colonia in caso di condizioni critiche, come la carenza di nutrienti o la presenza di virus o di antibiotici, che potrebbero debellarla: meglio sacrificare qualcuno e cercare di resistere piuttosto che morire tutti insieme. < La morte indotta dalla tossina avviene in genere solo in colture sovraffollate. Ora sappiamo perchè: la responsabilità è della proteina EDF >, afferma la coordinatrice della ricerca Hanna Engelbergr-Kulka. < In effetti, abbiamo verificato che basta aggiungere questa proteina a una colonia a bassa densità di popolazione per indurre i suoi membri al suicidio >. Ancora più interessante è il modo in cui la proteina viene prodotta, e cioè a partire dalla degradazione di un enzima. E' probabile che lo stress induca alcuni batteri a distruggere i propri enzimi, generando EDF che viene sescreto per comunicare ad altri batteri di lasciarsi morire se lo stress prosegue. Il meccanismo è un ottimo candidato per lo sviluppo di nuovi antibiotici, capaci di stimolare il modulo per il suicidio nei batteri che lo hanno.
4) Auto-organizzazione di un'ameba affamata.
La chemiotassi è il fenomeno per cui micro o macro organismi mutano il loro movimento in virtù della concentrazione, o del gradiente di concentrazione, di una sostanza chimica nell'ambiente in cui si trovano.
E' un comportamento che l'evoluzione ha premiato ampiamente nei batteri, come meccanismo di comunicazione di base per la formazione di colonie, e per l'adattamento a mutate condizioni ambientali, come la presenza di cibo o di antibiotici. Sono molti e ben documentati gli esempi che dimostrano come l'interazione con sostanze chimiche ambientali, che possono essere anche secrete dai batteri stessi (in questo caso si parla di segnalazione chemiotattica), conducono alla formazione di sorprendenti pattern specifici, sia morfologici sia comportamentali, che costituiscono una risposta adattativa efficace da parte di questi microorganismi.
Dictyostelium Discoideum è un'ameba, che in determinate circostanze diventa uno pseudoplasmodio. Questa tassonomia microbiologica nasconde un aspetto di notevole interesse generale per chi è interessato ai sistemi complessi: se infatti un'ameba è un organismo monocellulare, un pseudoplasmodio è invece pluricellulare. Per questa creatura la chemiotassi gioca un ruolo riconosciuto sia nella fase di ricerca del cibo, in cui le cellule individuali "fiutano" le concentrazioni di acido folico per localizzare il cibo, sia in risposta ad uno stress ambientale specifico: la carenza di nutrimento. In questo caso le cellule secernono acrasina e così facendo innescano un processo di aggregazione, o auto-organizzazione, che culmina nella formazione di una colonia di cellule.
Questa forma aggregata è molto coerente, tanto che in essa si possono distinguere sottosistemi funzionali deputati al moto o alla sporazione.
Quelli che possiamo osservare in un certo momento come un insieme di individui autonomi, in alcune circostanze intraprendono all'unisono una serie di azioni che li conducono a unirsi nella costituzione di un organismo singolo, senza che vi sia una cellula pacemaker a dirigere le operazioni: è la risposta collettiva delle cellule alla diffusione di acrasina nell'ambiente a generare l'organizzazione coloniale.
Oggi, trent'anni dopo la sua prima stesura, la teoria dell'aggregazione di Dictyostelium è riconosciuta come un classico degli studi sul comportamento bottom-up.
Steven Johnson - Emergence.

Non è difficile concludere che la nuova entità collettivamente organizzata emerge dalla moltitudine di individui. Analogamente, nel caso della risposta dei batteri alla presenza di antibiotici, possiamo dire che il comportamento collettivo emerge da una moltitudine di comportamenti individuali incredibilmente congruente con la finalità dell'azione.
La comunicazione, o regolazione, chemiotattica accompagna la vita fin dalla sua apparizione probabilmente, e caratterizza organismi che popolano il nostro pianeta a diverse scale: dai batteri e le amebe, agli organismi pluricellulari, i tessuti neurali, gli insetti sociali, certi comportamenti degli animali complessi. Meccanismi simili si sono voluti vedere in comportamenti sociali di tipo superiore, fino anche a quelli umani: ma questo introdurrebbe male un'universalità che non è certo così banalmente inferibile.
Ciò che mi interessa mettere in luce è il fatto che la chemiotassi rappresenti un esempio di comportamento emergente, dove la caratteristica di emergenza può essere meglio chiarita come
una proprietà dei sistemi complessi:
[Un sistema complesso è] un sistema con più agenti che interagiscono dinamicamente in modi diversi, seguendo regole locali, e indifferenti a qualsiasi istruzione di alto livello. [...] questo sistema non potrebbe essere considerato davvero emergente se le interazioni locali non producessero un qualche tipo di macrocomportamento riconoscibile.
[...] Il movimento dalle regole di basso livello alla sofisticazione di alto livello è ciò che chiamiamo emergenza.
[...] Locale si rivela essere il termine chiave per capire la logica di sciame. Osserviamo comportamento emergente quando i singoli individui di un sistema rivolgono l'attenzione all'immediato vicino anziché attendere ordini dall'alto, quando pensano localmente e agiscono localmente, ma la loro azione collettiva produce comportamento globale. (Steven Johnson - Emergence.)

5) I microrganismi amano la democrazia

Una comunità batterica complessa reagisce più rapidamente ed efficientemente a uno stress se le specie che la compongono hanno una distribuzione uniforme del numero di individui.

I batteri, come gli esseri umani, vivono in comunità complesse caratterizzate da grande diversità. E anche per loro la forma "democratica" di organizzazione sembra essere la più adeguata a garantire la funzionalità dell'intera comunità. E' questa la curiosa conclusione alla quale è giunto uno studio svolto da un consorzio di gruppi di ricerca dell'Università di Milano e dell'Università di Gent, in Belgio, coordinato da Daniele Daffonchio.

La ricerca, pubblicata anticipatamente online su "Nature", è parte di un progetto sulla "Gestione della Risorsa Microbica" (MRM, Microbial Resource Managenment) che ha come obiettivo finale l'individuazione dei fattori chiave che guidano il comportamento delle comunità microbiche complesse nei più diversi ambienti, e che, se correttamente controllati, possono permettere di sfruttare biotecnologicamente le comunità microbiche stesse per le applicazioni nelle scienze agrarie, ambientali e biomediche.

Il concetto di biodiversità ha un'articolazione complessa, che include aspetti tassonomici, funzionali, spaziali e temporali relativi alla diversità degli organismi, con speciale accento sul numero delle specie e sulla loro abbondanza relativa. Utilizzando microcosmi sperimentali con comunità batteriche con lo stesso numero di specie ma con un diverso numero di individui per ciascuna di esse, lo studio mostra come un numero uguale di individui per ciascuna specie inizialmente presente nella comunità sia un fattore chiave per la stabilità e la funzionalità dell'ecosistema.

In particolare, si dimostra che una comunità reagisce più rapidamente a uno stress se le specie che la compongono mostrano una distribuzione uniforme del numero di individui.

Se al contrario dipende fortemente da una specie dominante, si rivela molto più esposta alle fluttuazioni dell'ambiente che la circonda. In altre parole, la selezione che porta al dominio di una o di poche specie sulle altre non garantisce affatto una buona performance dell'ecosistema.

Si tratta di una scoperta che apre nuove interessanti prospettive per le scienze agro-ambientali, le scienze alimentari e la microbiologia medica. Tecniche molecolari già sperimentate potrebbero venire usate per pronosticare difetti di funzionamento di ecosistema e per gestire processi biotecnologici con comunità microbiche complesse, in grado di assicurare performance di lunga durata. (gg)

martedì 28 aprile 2009

VITA VEGETATIVA E VITA UMANA: QUANDO INIZIANO?

Nicolas Jouve, docente di Genetica all’Università di Alcalà di Henares, dove dirige anche il Dipartimento di Biologia cellulare e genetica, e primo firmatario di un manifesto con a firma 2300 scienziati contrari all'aborto, alla fine di un'intervista dice:"La scienza è neutrale di fronte all’aborto, che è un fenomeno sociale. Ma non di fronte all’inizio della vita. I miei colleghi non ci dicono quando, secondo loro, una nuova esistenza comincia".

LA DOMANDA E' POSTA IN MODO ERRATO, RISPETTO AL PROBLEMA DELL'ABORTO, PERCHE' SI TRATTA INVECE DI STABILIRE QUANDO I DIRITTI DEL NASCITURO SIANO PREVALENTI SU QUELLI DELLA MADRE. Sotto questo aspetto è indispensabile stabilire quando inizia la vita VEGETATIVA e quando inizia la VITA ANIMALE (di tipo UMANO), ovvero si DIVENTA PERSONA.

La vita di una persona umana INIZIA quando, diventato FETO, il suo cervello è in grado di comunicare con altri cervelli umani, anche allo stato inconscio. Già dopo la prima comunicazione, il SUO DNA, INVARIATO DAL CONCEPIMENTO, INIZIA A MODIFICARSI, VISTO CHE SI MODIFICANO LE SINAPSI DEL CERVELLO ED INIZIA A FARE ED IMMAGAZZINARE ESPERIENZE INTERAGENDO ANCHE CON L'AMBIENTE STESSO.

LA VITA ANIMALE (compresa quella di tipo umano) DIFFERISCE DA QUELLA VEGETALE PER L'APPRENDIMENTO IN RELAZIONE ALLE ESPERIENZE (i vegetali non apprendono dalle singole esperienze allo stesso modo degli animali).

LA VITA ANIMALE ED UMANA E' VARIAZIONE INCESSANTE DELLE SINAPSI CEREBRALI E DEL DNA (E NON IMMUTABILITA' DEL DNA CHE RIMANE ANCHE IN UN ORGANO IN ATTESA DI UN TRAPIANTO).

Qui siamo nel campo delle NEUROSCIENZE: Eric Kandel ha preso il NOBEL nel 2000 proprio per aver dimostrato, con studi sulla lumaca di mare Aplysia e sui topi, che ad ogni nuova esperienza o apprendimento fatto da un individuo animale (o umano) con un cervello con neuroni e sinapsi, corrisponde una MODIFICAZIONE DELLA RETE NEURONALE E SINAPTICA (con nuove sinapsi o anche con semplici ispessimento di alcune delle sinapsi esistenti). A queste modificazioni sinaptiche, per le funzioni trascrizionali del DNA, corrisponde anche una variazione del DNA che in gran parte si tramanda anche ai discendenti (vedi: http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/neuroscienze/articoli/neuro4.htm).

Ovviamente, vi sono settori di variabilità del DNA che interessano le mofidicazioni della forma e delle funzioni organiche; altre modificazioni, invece, interessano proprio l'aspetto umano (carattere, fobie, intuito, complessi, archetipi, etc.). MODIFICARE INCESSANTEMENTE IL DNA SOTTO QUESTO ASPETTO (diciamo MENTALE) EQUIVALE A FARE ESPERIENZE E VIVERE UNA VITA PARAGONABILE A UNA VITA UMANA SPIRITUALE (e qui entriamo in una branca della PSICOSOMATICA: vedi www.nuoveteorie-calos.it).

Modificare il DNA per altri fattori, non DOVUTE AD ESPERIENZE MENTALI, equivale a vivere una VITA VEGETATIVA al pare dei vegetali (come avviene quando si entra in coma irreversibile vegetativo: caso di Eluana).

Ing. Riccardo Calantropio

domenica 12 aprile 2009

L'INCONSCIO, QUESTO SCONOSCIUTO.

L’inconscio umano prende tale nome proprio perchè non può essere conosciuto direttamente dalla coscienza umana. Siamo però certi della sua esistenza, al pari di come oggi siamo certi dell’esistenza della MATERIA OSCURA perché ne constatiamo i suoi effetti (gravitazionali). Oggi, quindi, sempre più constatiamo gli effetti dell’inconscio umano sulle nostre emozioni, sentimenti, scelte; ma non solo. Viviamo, spesso, l’esperienza dei SOGNI, in cui siamo attori e spettatori, ma non REGISTI e SCENEGGIATORI; e da millenni abbiamo travisato il nostro mondo inconscio con un pseudo mondo spirituale o metafisico-trascendentale.
Per Antonio Damasio, uno dei più grandi neuroscienziati viventi, l’ERRORE DI CARTESIO è stato quello di non capire che la natura ha costruito l'apparato della razionalità non solo al di sopra di quello della regolazione biologica, ma anche a partire da esso e al suo stesso interno.
Il processo decisionale (ad esempio quello di compiere una scelta tra due o più alternative), secondo Damasio, è spesso ben lontano da quello di un'analisi che consideri minuziosamente i pro e i contro di ciascuna scelta. Il più delle volte, in special modo quando abbiamo a che fare con problemi complessi, dai molteplici risvolti personali e sociali, siamo portato ad utilizzare una strategia diversa che fa riferimento agli esiti di passate esperienze, nelle quali riconosciamo una qualche analogia con la situazione presente. Dette esperienze hanno lasciato delle tracce, non necessariamente coscienti, che richiamano in noi emozioni e sentimenti, con connotazioni negative o positive.
ANALOGAMENTE l’errore di filosofi e teologi del passato è stato quello di NON CAPIRE che l’uomo differiva dagli altri animali non solo per la sua COSCIENZA e RAZIONALITA’, ma per aver sviluppato una serie di funzioni inconsce superiori, che influiscono sulla sua coscienza e sulle sue scelte decisionali.
E, soprattutto, di NON AVER CAPITO che l’interconnessione tra gli inconsci umani, comune a tutti quegli individui che si organizzano in comunità (ad esempio gli insetti sociali, le colonie di batteri, linfociti, stormi di uccelli e banchi di pesci) ha generato funzioni impensabili fino a qualche anno fa (basta riflettere sulle straordinarie costruzioni di api, formiche e termiti, senza che vi sia un progettista o un direttore dei lavori).
Tutto questo, però, non è nato in un istante, ma è stato frutto di una lenta evoluzione, che CONTINUA, ancora oggi, IN OGNI momento della nostra vita.
L’inconscio si serve di MEZZI, frutto di esperienze evolutive millenarie, per ancor meglio influenzare la nostra coscienza ed indirizzare le nostre scelte, come le emozioni, i sentimenti, L’AMORE nelle varie forme, l’intuito e la fede, per TENDERE AD UNO SVILUPPO ALTRUISTICO SOCIALE.
Il MALE e il BENE non sono, quindi, concetti solo morali, ma già strutturati nel nostro inconscio per il FINE SOCIALE DI TENDERE A UN’UNICA COMUNITA’.
Il nostro stesso inconscio ci dice se un qualcosa è egoistico o altruistico, a meno che la nostra mente non sia stata catechizzata da religioni, più o meno integraliste (che destrutturano le nostre reti sinaptiche).

Persone umane si ci diventa per evoluzione, come in passato si diventava persone di uomo di neanderthal. Diventare PERSONA significa, anche, entrare a par parte della RETE DEGLI INCONSCI DELL'UMANITA', una specie di internet biologico a cui si possono connettere tutti gli inconsci umani.
Questo, ovviamente, è possibile quando nel FETO si siano formate delle SINAPSI sufficienti per tale interconnessione e scambio di informazioni; e giammai nello stato embrionale.
Già Sant'Agostino e San Tommaso d'Aquino, più che studiando la biologia dell'epoca, AVEVANO INTUITO NEL LORO INCONSCIO che gli embrioni NON POTEVANO AVERE un'ANIMA RAZIONALE, tanto che San Tommaso pensava che non potessero andare in paradiso, se morti prematuramente.
I nostri inconsci ci dicono già se possiamo comunicare con loro; e questo spiega perchè il NOSTRO INTUITO ci dice che hanno meno diritti della SALUTE PSICOFISICA DELLA MADRE, come riconosciuto dal 90% degli stati laici e civili dell'emisfero Nord della terra (stesso risultato che si otterebbe in Italia con un referendum che raggiungesse il quorum, anche se è un paese oltremodo catechizzato).
Lo stesso nostro INTUITO ci dice che una persona in stato vegetativo irreversibile, in cui mancano le funzioni inconsce superiori, non ha più vita come persona umana, ed è ormai un corpo che vegeta.

venerdì 3 aprile 2009

Profeti, sciamani, veggenti, sensitivi, medium: Chi sono in realtà?

Per rispondere a questa domanda, è preferibile porla ad uno di loro; ma non basta.

Costui dovrebbe avere, anche, sufficienti conoscenze di FILOSOFIA, TEOLOGIA, BIOLOGIA, NEUROSCIENZE, PSICOSOMATICA, PSICOANALISI, PSICOLOGIA ANALITICA, FISICA, MECCANICA QUANTISTICA, SCIENZE ESOTERICHE; ed inoltre buone capacità di analisi e sintesi delle percezioni e sensazioni che riceve, giorno per giorno.

Una persona simile non si incontra, certo, tutti i giorni!

E' però abbastanza probabile che, per particolari conformazioni della mia rete neuronale e sinaptica, io sia una di queste.

domenica 22 marzo 2009

Umberto Eco sull'Espresso del marzo 2005: Embrioni alla porta del Paradiso

UN PARALLELISMO TRA LA VISIONE DI SAN TOMMASO D'AQUINO e LA VISIONE DELLA RETE DEGLI INCONSCI. QUANDO NEL FETO SI FORMA IL CERVELLO, QUESTO ENTRA A FAR PARTE DELLA RETE DEGLI INCONSCI DELL'UMANITA'; IL CHE EQUIVALE A RICEVERE L'ANIMA RAZIONALE DI SAN TOMMASO D'AQUINO.

Ricordiamo, a tal fine, una BUSTINA DI MINERVA del 2005:
Umberto Eco sull'Espresso: Embrioni alla porta del Paradiso.

È curioso il ribaltamento della posizione della Chiesa sulla vita umana rispetto alla dottrina di San Tommaso Nei giorni scorsi Giovanni Sartori, sul 'Corriere della Sera' è intervenuto in termini filosofici sulla questione degli embrioni e dell'inizio della vita, citando ampiamente la posizione detta 'creazionista' di San Tommaso d'Aquino. Si tratta di una posizione già ricordata negli ultimi tempi da alcuni autori laici (io per esempio ne avevo parlato in una Bustina del settembre 2000) ma che curiosamente non è stata mai ripresa negli ambienti fondamentalisti cattolici.
La posizione di Tommaso (che nel corso dei secoli la Chiesa non ha mai espressamente negato, condannando anzi quella opposta di Tertulliano) è la seguente: i vegetali hanno anima vegetativa, che negli animali viene assorbita dall'anima sensitiva, mentre negli esseri umani queste due funzioni vengono assorbite dall'anima razionale, che è quella che rende l'uomo dotato di intelligenza e ne fa una persona come 'sostanza individua di una natura razionale'. Tommaso ha una visione molto biologica della formazione del feto: Dio introduce l'anima solo quando il feto acquista, gradatamente, prima anima vegetativa e poi anima sensitiva. Solo a quel punto, in un corpo già formato, viene creata l'anima razionale ('Summa Theologiae', I, 90). L'embrione ha solo l'anima sensitiva ('Summa Theologiae', I, 76, 2 e I, 118, 2). Nella 'Summa contra gentiles' (II, 89) si dice che vi è una gradazione nella generazione, "a causa delle forme intermedie di cui viene dotato il feto dall'inizio sino alla sua forma finale". Ed ecco perché nel Supplemento alla 'Summa Theologiae' (80, 4) si legge questa affermazione, che oggi suona rivoluzionaria: dopo il Giudizio Universale, quando i corpi dei morti risorgeranno affinché anche la nostra carne partecipi della gloria celeste (quando già secondo Agostino rivivranno nel pieno di una bellezza e completezza adulta non solo i nati morti ma, in forma umanamente perfetta, anche gli scherzi di natura, i mutilati, i concepiti senza braccia o senza occhi), a quella 'risurrezione della carne' non parteciperanno gli embrioni. In loro non era stata ancora infusa l'anima razionale, e pertanto non sono esseri umani.
Si può dire che la Chiesa, spesso in modo lento e sotterraneo, ha cambiato tante posizioni nel corso della sua storia che potrebbe avere cambiato anche questa. Ma è singolare che qui siamo di fronte alla tacita sconfessione non di una autorità qualsiasi, ma dell'Autorità per eccellenza, della colonna portante della teologia cattolica.
Le riflessioni che nascono a questo proposito portano a conclusioni curiose. Noi sappiamo che a lungo la stessa chiesa cattolica ha resistito alla teoria dell'evoluzione, non tanto perché sembrava contrastare col racconto biblico dei sette giorni della creazione (su questo erano già d'accordo i commentatori antichi, la Bibbia parla per metafore ed espressioni poetiche, e sette giorni potrebbero anche voler dire sette milioni di anni) ma perché cancellava il salto radicale, la differenza miracolosa tra forme di vita pre-umane e l'apparizione dell'Uomo, annullava la differenza tra una scimmia, che è animale bruto, e un uomo che ha ricevuto un'anima razionale. Poi lentamente la chiesa ha non dico sostenuto ma ammesso il darwinismo purché si riconoscesse che, nella continuità della catena della vita dal primo unicellulare ad Adamo, s'inseriva una spaccatura, il momento in cui a un essere vivente viene conferita un'anima immortale. Solo i fondamentalisti protestanti (e qualche sciagurato consulente del nostro ministero della Pubblica Istruzione) hanno continuato ad avere orrore dell'ipotesi evoluzionista.
Ora la battaglia certamente neo-fondamentalista sulla pretesa difesa della vita, per cui l'embrione è già essere umano in quanto in futuro potrebbe diventarlo, sembra portare i credenti più rigorosi sulla stessa frontiera dei vecchi materialisti evoluzionisti di un tempo: non c'è frattura (quella definita da San Tommaso) nel corso dell'evoluzione dai vegetali agli animali e agli uomini, la vita ha tutta lo stesso valore. E infatti Sartori nella sua polemica si chiede se non si faccia una certa confusione tra la difesa della vita e la difesa della vita umana, perché il difendere a ogni costo la vita ovunque là dove si manifesti, in qualsiasi forma si manifesti, porterebbe a definire come omicidio non solo spargere il proprio seme a fini non fecondativi, ma anche mangiare polli e ammazzare zanzare, per non dire del rispetto dovuto ai vegetali.
Conclusione: le attuali posizioni neofondamentalistiche cattoliche non solo sono di origine protestante (che sarebbe il meno) ma portano a un appiattimento del cristianesimo su posizioni insieme materialistiche e panteistiche, e su quelle forme di panpsichismo orientale per cui certi guru viaggiano con la garza sulla bocca per non uccidere micro-organismi respirando. Non sto pronunciando giudizi di merito su una questione certamente molto delicata. Sto rilevando una curiosità storico-culturale, un curioso ribaltamento di posizioni. Dev'essere l'influenza del New Age.
L'Espresso
03/15/2005 16:00
Autore: di Umberto Eco

venerdì 20 marzo 2009

Legge ebraica, messaggio evangelico e dottrina cristiana.

Gesù Cristo era un ebreo e in quanto tale osservava, in massima parte, la legge ebraica del suo tempo.

La legge ebraica (vedi: http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/talmud-ebraismo.html )
si poteva assimilare a una specie di CODICE PENALE E CIVILE DI UNO STATO TEOCRATICO.

E' lecito, quindi, porsi una domanda:

Quanto sono stati rigorosi gli evangelisti nell'interpretare e nel distinguere il VERO MESSAGGIO EVANGELICO dalla LEGGE EBRAICA, che Cristo, in quanto ebreo, osservava?

Ovvero, visto che le leggi, in tutti gli stati sono soggette a revisioni ed aggiornamenti, e che spesso vengono elaborate per contenere abusi e regolamentare dei fenomeni (ad esempio nei matrimoni, adulteri, stabilità delle famiglie, doveri verso i figli, circoncisione, etc,), quanti di queste leggi di REGOLAMENTAZIONE E CONTENIMENTO CIVILE sono state scambiate per LEGGI DIVINE?

Cerchiamo di usare il PRIMATO DELLA RAGIONE per meglio distinguere le LEGGI DIVINE (contenute nel messaggio evangelico) da quelle penali e civili di uno stato teocratico.

giovedì 19 marzo 2009

ECUMENISMO E RAGIONE

Il termine ecumenismo indica il movimento che tende a riavvicinare e a riunire tutti i fedeli cristiani e quelli delle diverse Chiese. Il punto di partenza è la comune fede nella Trinità: in Dio Padre, in Gesù Cristo Figlio e in Dio Spirito Santo. La parola deriva dal termine greco oikouméne, che indica in origine la parte abitata della Terra; la scelta indica come una sorta di indirizzo nella ricerca di una sempre più stretta collaborazione e comunione tra le varie chiese cristiane che abitano il mondo.

Presso la Santa Sede esiste il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, la cui funzione è duplice:

Promuovere nella Chiesa cattolica un autentico spirito ecumenico, in linea con il decreto Unitatis redintegratio del Concilio Vaticano II e sviluppare il dialogo e la collaborazione con le altre chiese cristiane.

Già nel discorso di Ratisblona, papa Benedetto XVI aveva posto l'accento sulla RAGIONE UMANA, che ci fa ad immagine e somiglianza di Dio; e recentemente nella sua visita nel Camerum, ha ripreso anche il discorso sulla ragionevolezza delle religioni:

"Oggi - ha detto ai musulmani - un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è elevata mediante la rivelazione e la fede".

"In una critica implicita al fondamentalismo che caratterizza l'Islam in altre zone dell'Africa, Benedetto XVI ha rimarcato: "in realtà religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno ptenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede". "In questo modo - ha concluso - una religione genuina allarga l'orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana. Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo".

In questo ambito, si può inserire la forma di Cristianesimo del nuovo sistema filosofico (vedi www.nuoveteorie-calos.it, che riconosce la Trinità Cristiana, Cristo come LOGOS di Dio venuto sulla terra per accellerare l'altruismo sociale, e lo Spirito Santo che opera nell'influenzare le nostre coscienze e i nostri inconsci, in competizione con il MALE). Una forma di Cristianesimo che pone in primo piano assoluto la RAGIONE UMANA e può candidarsi a recuperare BUONA PARTE DEI CRISTIANI che negli ultimi anni e sempre più non credono nella METAFISICA ELLENISTICA e NEL DOGMATISMO.

Anche questa una forma di ECUMENISMO da portare avanti.

sabato 7 marzo 2009

UN CONFRONTO INTERROTTO.

VIENE QUI RIPORTATA UNA RISPOSTA (6 Marzo 2009, ore 14,28) RELATIVA AL BLOG DEL PROF. TOMMASO SCANDROGLIO, docente di Filosofia del Diritto dell’Università Europea di Roma, nonchè scrittore e giornalista
(dal BLOG:
http://veritaevita.blogspot.com/2009/03/effetto-domino.html
INTERVENTO CHE I GESTORI DEL BLOG, PRESUMIBILMENTE PER ORDINI DALL’ALTO HANNO CANCELLATO circa verso le ore 20,30 dello stesso giorno, dopo che lo avevano letto centinaia di utenti).

Chiarissimo Prof. Tommaso Scandroglio.
Il messaggio evangelico è un messaggio di speranza, e in primo luogo di speranza verso il prossimo. Qualcuno afferma che l’altruismo sociale nell’umanità sia in aumento (mai come in passato vi sono organizzazioni non governative, ambientaliste, contro la pena di morte, umanitarie, etc.; poi iniziative di raccolta di fondi per varie motivazioni caritatevoli, o per ricerca (tipo Telethon): e non per questo, necessariamente cristiane o confessionali). Si assiste, parimenti, a una insofferenza verso i dogmi (si tende cioè a non accettare qualcosa solo perché l’ha detta una presunta autorità filosofica o teologica). Qualche tempo fa chiesero a Martin Rees, considerato uno dei più grandi astrofisici viventi, se credeva in Dio, e la sua risposta fu “Sono affascinato dalle meraviglie del cosmo; ma non ho nessuna fede in un particolare DOGMA. Non sono sicuro di credere in Dio, ma vado in Chiesa”. E questo tipo di atteggiamento si stava allargando, in passato, a macchia d’olio, nelle persone intellettuali; ma con la restaurazione in atto nella chiesa cattolica, si sta ottenendo l’effetto opposto.
Nel vangelo di San Matteo vi è scritto:
“Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.”

Le neuroscienze stanno dimostrando sempre più, si veda la NEURO ETICA di Antonio Damasco, che negli esseri umani è innata una forma di saper distinguere il male dal bene (o meglio l’egoismo individuale dall’altruismo sociale).
Da una analisi di interventi dei blog sul corriere della sera e sulla repubblica, si è notato che la stragrande maggioranza di coloro che davano ragione a B. Englaro erano gli stessi che difendevano le ragioni dei palestinesi contro l’occupazione israeliana.
E’ da chiedersi, quindi, perché la maggioranza dei cittadini europei è favorevole all’aborto prima dei tre mesi e a considerare la vita vegetativa irreversibile come morte della persona.
Forse il nostro inconscio interpreta meglio della nostra coscienza le LEGGI MORALI NATURALI, se mai ci siano; a patto che ci si svincoli da dogmatismi religiosi o filosofici (come nel caso italiano con forte influenza della chiesa cattolica).
Chi conosce bene la matematica, la fisica e la chimica, sa che i DOGMI esistono solo in matematica, e non esistono assolutamente in fisica, almeno per ora; e riporto a titolo esemplificativo la fisica di Newton, la relatività di Einstein e la meccanica quantistica, che valgono con sufficiente APPROSSIMAZIONE nel loro specifico ambito (classico, interplanetario e subatomico). Se qualcuno volesse estrapolare la fisica di Newton all’infinitamente grande o all’infinitamente piccolo, si accorgerebbe che le leggi non valgono più; e viceversa. Gli scienziati sono in attesa di una meccanica gravitazionale a QUANTI ancora da scoprire, che forse unificherà le altre leggi fisiche; e a detta di Roger Penrose, e di altri grandi scienziati, tra cui diversi premi Nobel, ci spiegherà anche il FUNZIONAMENTO DELLA COSCIENZA UMANA, dell’INTUITO UMANO e dell’INCONSCIO (materie legittime del campo scientifico).
La stragrande maggioranza dei filosofi, invece, ha la pretesa di ESTRAPOLARE leggi approssimate locali (per loro dogmatiche) a casi in cui queste verifiche non possono essere effettuate: E qui sta il loro limite da una parte e il rifiuto da parte di persone razionali (ma anche altruiste e caritatevoli) nel constatare che anche nel caso della bambina brasiliana di nove anni incinta di due gemelli, violentata dal padrigno, IL DOGMA CATTOLICO prescriveva che morisse, quasi sicuramente, nel parto.
Per alcuni, in natura, l’unica cosa certa è L’ISTINTO FONDAMENTALE di tutti gli organismi biologici a riprodurre i propri geni (da questo istinto fondamentale deriva l’egoismo individuale (IL MALE) e l’altruismo sociale (IL BENE), perché la natura ha sperimentato che la collettività ha più possibilità di sopravvivenza e di ambientazione). Bisogna sottolineare, che anche papa Benedetto XVI, in una sua omelia, aveva affermato, partendo ovviamente da altri basi teologiche, che il MALE è l’egoismo individuale e il BENE è l’altruismo sociale.
Non ci si può esimere di fare un’ultima considerazione: In piena globalizzazione, non possiamo pretendere che l’Italia si isoli dal resto dell’EUROPA e del mondo: Le battaglie, oggi, hanno un senso in ambito Europeo o mondiale, altrimenti sono solo illusorie, in quanto temporanee.

Ing. Riccardo Calantropio